file aggiornato in data 1 maggio 2004

Perché battersi ogni giorno per conseguire piccoli traguardi ?

PERCHE’: La libertà è partecipazione. Detestiamo essere trasformati in sudditi.

Così rendiamo onore a chi ha sofferto per farci nascere in uno Stato di cittadini.

Il confrontarsi consente di vivere il giorno. Siamo convinti che ciclicamente vince la ragione.

Approfondimenti su: http://www.coordinamentocamperisti.it - http://www.viverelacitta.it

 

inCAMPER dal 1988 rivista

d’informazione e formazione

http://www.coordinamentocamperisti.it

 

ASSOCIAZIONE  NAZIONALE

COORDINAMENTO CAMPERISTI

21, via San Niccolò - 50125 Firenze

info@coordinamentocamperisti.it

tel. 328 8169174 - 328 7698417

fax  055 2346925

 

IL CONTRATTO DI DEPOSITO

Responsabilità dell’albergatore, del ristoratore, del parcheggiatore, dell’autorimessa e di chiunque riceve un bene in custodia

 

Nella vita di tutti i giorni accade frequentemente di stipulare un contratto di deposito, basti pensare a ogni volta in cui posteggiamo il nostro autoveicolo in un parcheggio, o lo lasciamo in un rimessaggio, o lo consegniamo al meccanico per effettuarvi delle riparazioni, o diamo il soprabito al cameriere del ristorante. In tutti questi casi, ricorrendo le condizioni previste dalla legge ed elaborate dalla copiosa giurisprudenza in materia, può configurarsi il contratto di deposito con la conseguente nascita dei relativi diritti ed obblighi in capo alle parti. Infatti per la conclusione del contratto di deposito, che è di natura “reale”, non è necessario rispettare alcun obbligo di forma, essendo sufficiente la consegna di una determinata cosa allo scopo di custodirla per far sorgere nel depositario l’obbligo della restituzione.

 

 

DISCIPLINA DEL CONTRATTO DI DEPOSITO IN GENERALE

 

> definizione e presunzione di gratuità

Il contratto di deposito è disciplinato dagli artt. 1766 e ss. del codice civile ed è il negozio giuridico mediante il quale una parte (depositario), riceve dall’altra (depositante) una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e restituirla in natura. Il contratto di deposito si presume gratuito, a meno che dalla qualità professionale del depositario o da altre circostanze si debba desumere una diversa volontà delle parti. Non sarebbe quindi legittima la richiesta del vicino di casa, a cui taluno abbia lasciato in custodia una pianta per innaffiarla e curarla durante le proprie ferie ai carabi, di un corrispettivo per tale servizio in mancanza di una espressa pattuizione, mentre diverso sarebbe il caso in cui il depositario fosse un vivaista, data la professionalità di quest’ultimo.

 

> obblighi e responsabilità di chi riceve la cosa in deposito.

Il depositario deve usare in ogni caso nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia, ma qualora il deposito sia gratuito la legge impone di valutare con minor rigore la responsabilità per colpa. Il depositario, anche nell’ipotesi di deposito gratuito, per liberarsi da ogni responsabilità deve comunque provare la imprevedibilità e la inevitabilità della perdita della cosa, ovvero l’estraneità della perdita stessa rispetto al comportamento da lui tenuto nella esecuzione del contratto; infatti il presupposto per la liberazione del contraente inadempiente dalla presunzione di colpa è la non imputabilità allo stesso della causa dell’inadempimento, ed è solo dopo che il debitore abbia provato la causa concreta dell’inadempimento che si può passare alla valutazione della diligenza da lui prestata.

Poiché lo scopo del contratto è quello di conservare la cosa nello stato in cui essa è stata consegnata al depositario, la legge vieta a quest’ultimo di servirsi della cosa, a meno che non sia stato a ciò autorizzato dal depositante. Chi ha ricevuto in custodia la pelliccia dell’amica, non potrà quindi indossarla, a meno che non vi sia il consenso di quest’ultima. Inoltre il depositario è tenuto ad esercitare la custodia nel modo che è stato convenuto e non potrà discostarsi da tale modalità a meno che non lo richiedano circostanze urgenti ed in ogni caso dandone immediato avviso al depositante, pena il risarcimento dei danni che quest’ultimo abbia a subire a causa del mutato modo di esercitare la custodia.

 

 

> restituzione della cosa data in deposito

La restituzione dovrà avvenire non appena il depositante la richieda, a meno che le parti non abbiano stabilito un termine nell’interesse dell’una o dell’altra. Nel caso in cui non sia stato stabilito un termine la prescrizione del diritto decorre dal momento in cui il depositante ne faccia richiesta, recedendo dal contratto, ovvero dal momento in cui ne receda il depositario, facendo richiesta di riprendere la cosa. La restituzione dovrà avvenire nelle mani del depositante o di chi sia stato da questo incaricato, senza che possa essere richiesto al depositante di dare la prova di essere anche proprietario della cosa. Infatti il contratto di deposito può essere stipulato anche dal semplice detentore o possessore.

 

> perdita o sottrazione della cosa data in deposito

Particolare importanza nell’ambito della disciplina del deposito riveste l’art. 1780 c.c. il quale dispone che, se la detenzione della cosa è tolta al depositario in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall’obbligazione di restituire la cosa ma deve, sotto pena di risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione. Ciò significa che, per configurarsi una responsabilità del depositario per la perdita della cosa, egli deve avere posto in essere un comportamento difforme da quella diligenza del buon padre di famiglia, dovuta nell’adempimento dell’obbligo di custodia. Ad esempio il depositario di un veicolo in autorimessa è tenuto ad usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia ed è liberato dall’obbligazione di restituire il veicolo solo in presenza di un fatto fortuito, nel quale non rientra Il furto, a meno che esso non sia accompagnato da violenza o da minaccia alle persone.

 

Esaminato il contratto di deposito in generale è opportuno precisare che lo stesso ha una disciplina particolare a seconda delle singole fattispecie  cui si riferisce (deposito in albergo, al ristorante, parcheggio, rimessaggio e molte altre) e per le quali esiste una copiosa elaborazione giurisprudenziale che merita di essere approfondita caso per caso. In questo numero cominceremo con l’esaminare il deposito in albergo e quello al ristorante.

 

Il codice civile disciplina il DEPOSITO IN ALBERGO in una speciale sezione, i cui articoli sono stati introdotti o innovati dalla legge 316 del 1978, che ha attuato la Convenzione del Consiglio d’Europa del 17.12.1962 sulla responsabilità degli albergatori per le cose portate in albergo dai clienti. A norma dell’art. 1783 c.c. gli albergatori sono responsabili di ogni deterioramento, sottrazione e distruzione delle cose portate dal cliente in albergo, con il limite di valore pari a cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata. Tale limite non opera, a norma dell’art. 1784 c.c. quando si tratti di cose che sono state consegnate in custodia all’albergatore o che questi abbia rifiutato di ricevere, pur essendo obbligato a farlo, quali ad esempio carte-valori, denaro contante e oggetti di valore e neppure quando il deterioramento, sottrazione o distruzione della cosa portata in albergo sia dovuta a colpa sua, dei suoi ausiliari o familiari. In tali casi quindi l’albergatore risponderà senza limiti di valore, mentre egli non sarà tenuto a rispondere per il deterioramento, sottrazione o distruzione della cosa dovuta al cliente, alle persone che l’accompagnano o che sono al suo servizio, a forza maggiore o alla natura della cosa. Il cliente dal canto suo, per potersi valere delle disposizioni in esame, dovrà denunciare il fatto all’albergatore senza ritardo.

E’ importante sapere che l’albergatore non può escludere o limitare la propria responsabilità tramite patti o dichiarazioni preventive, pertanto tali clausole contrattuali, anche laddove sottoscritte dalle parti, resterebbero totalmente prive di efficacia.

In ogni caso le disposizioni previste nella sezione del codice civile relative al deposito in albergo non si applicano ai veicoli, alle cose lasciate negli stessi né agli animali vivi, mentre sono applicabili anche agli imprenditori di case di cura, stabilimenti balneari, stabilimenti di pubblici spettacoli , pensioni, trattorie, carrozze letto e simili.

 

Tuttavia, l’obbligo di sorveglianza per la tutela delle cose portate in albergo dal cliente e non consegnate in custodia è più esteso di quello incombente al RISTORATORE o al trattore, stante la differenza strutturale delle due imprese e di godimento delle rispettive prestazioni. Infatti per l’albergatore sussiste la responsabilità per tutte le cose portate dal cliente in albergo, mentre per il ristoratore tale responsabilità, per le cose non affidategli in custodia, sussiste solo per quelle di cui è opportuno liberarsi per il miglior godimento del servizio (cappotto, cappello, ombrello), restando invece sotto il controllo e sotto la responsabilità del cliente tutte le altre che non costituiscano intralcio alla consumazione del pasto. Pertanto, sulla scorta di tale principio, la Cassazione non ha ritenuto responsabile il ristoratore per la perdita da parte del cliente di un accendino d’oro che egli aveva lasciato sul tavolo del locale e di cui era stata denunciata dopo poco la scomparsa (Cass. Sent. 8268/87), mentre è stata affermata la responsabilità del ristoratore nel caso della consegna di una pelliccia, poi sparita, al cameriere di ristorante perché venisse portata nell’apposito guardaroba, essendo in questo caso inequivocabile la consegna in custodia (Cass. Sent. N. 4445/85).

La Suprema Corte, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità del ristoratore e il tipo di responsabilità (limitata ex art. 1783 c.c. o illimitata ex art. 1784 c.c.), ha altresì affermato che il giudice di merito deve accertare se il cliente, indipendentemente da una specifica dichiarazione negoziale, per le modalità o il contesto in cui ha consegnato la cosa al gestore o ai suoi dipendenti, ha inteso affidarla alla loro custodia (nel qual caso la responsabilità è illimitata), ovvero se essi si sono limitati a prestargli una cortesia conforme agli usi (nel qual caso la responsabilità deve ritenersi limitata ex art. 1783 c.c.).

In applicazione di tale principio è stata riconosciuta la responsabilità limitata del ristoratore nel caso di una cliente che aveva consegnato la pelliccia al cameriere di un ristorante sprovvisto di guardaroba, che l’aveva appesa all’appendiabiti. In tal caso infatti la Cassazione ha affermato l’equivocità della circostanza ai fini dell’affidamento del bene in custodia al gestore,potendo esso restare nella sfera di controllo del cliente, anche avuto riguardo al luogo ove l’appendiabiti era situato (Cass.sent. n.1537/97).

Pertanto, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, la responsabilità del ristoratore sarà illimitata, ogni volta in cui la cosa gli venga consegnata espressamente ai fini della custodia o comunque che tale finalità possa desumersi dalle circostanze e dal contesto, sarà limitata nel caso degli oggetti che il cliente consegni allo scopo di poter usufruire in modo migliore della prestazione (cappotto che venga appeso all’appendiabiti, ombrello), non sussisterà alcuna responsabilità nel caso di oggetti che restino nella disponibilità e nel controllo del cliente e che non intralcino il godimento della prestazione (accendino lasciato sul tavolo del ristorante).

Un’altra fattispecie di contratto di deposito su cui la Suprema Corte è stata molte volte chiamata a pronunciarsi soprattutto negli anni più recenti è quella relativa al parcheggio ed al rimessaggio degli autoveicoli.

 

 

IL RIMESSAGGIO

Regole sul contratto di rimessaggio, parcheggio e posteggio per gli autoveicoli.

 

ATIPICITA’

Il contratto di rimessaggio e posteggio è un contratto atipico che, pur essendo disciplinato in via analogica dalla normativa del contratto di deposito manifesta caratteristiche individualizzanti. Iinfatti,  la giurisprudenza della Suprema Corte e la dottrina hanno sempre ritenuto che il contratto atipico di posteggio deve essere inquadrato nello schema generale del contratto di deposito dal quale deriva l'obbligo per il depositario di custodire l'autoveicolo e di restituirlo nello stato in cui è stato consegnato ed ove l'automezzo venga sottratto o danneggiato il diritto al risarcimento del danno per il proprietario.

 

 

CONCLUSIONE DEL CONTRATTO

Come detto nell’articolo che riguarda il contratto di deposito in generale, lo stesso si perfeziona con la consegna della cosa con il conseguente obbligo alla restituzione.

Il contratto di posteggio è, quindi, concluso nel momento in cui l’autoveicolo viene immesso e lasciato nell'apposito spazio all'interno del parcheggio con il consenso del depositario. Non è necessaria la consegna delle chiavi o rilascio dello scontrino o il pagamento anticipato del compenso. E’ sufficiente quindi il solo collocamento dell’autoveicolo nel parcheggio perché il contratto possa ritenersi concluso (Cass. civ. sez. III, 21 giugno 1993, n. 6866).

 

 

FURTO O DANNEGGIAMENTO DELL’AUTOVEICOLO E DEI SUOI ACCESSORI

L'obbligo del gestore del parcheggio (depositario) al risarcimento del danno, se la cosa depositata viene rubata o danneggiata, sussiste ove lo stesso non fornisca la prova dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità dell'evento nonostante la diligenza del buon padre di famiglia, e cioè in presenza di un caso fortuito, dal quale tuttavia è escluso il furto.

L’obbligo di custodia e di restituzione non sono limitati all’autoveicolo nella sua struttura elementare, ma si estendono a tutte quelle cose che pur mantenendo una propria autonomia siano destinate in modo durevole al suo servizio od ornamento costituendone pertinenza. In base a tale principio la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto che, nel contratto atipico di parcheggio di una caravan (roulotte), l’obbligo del depositario di custodia e di restituzione ed, in mancanza, del relativo risarcimento, che si estendeva a tutte quelle cose che ne costituivano la normale attrezzatura, quali tende, frigorifero, tavolo, sedie, sacchi a pelo, ecc. (Cass. Civ., sez. III, 21 giugno 1993, n. 6866).

Altra interessante sentenza della Cassazione  è quella relativa alla questione della qualificazione del contratto di rimessaggio invernale di una caravan (roulotte) o di un autocaravan (camper) in un' area adibita, nel periodo estivo, a campeggio. La fattispecie si distingue dall'altra del c.d. campeggio stanziale. Il contratto di cui alla fattispecie in esame viene qualificato alla stregua di deposito oneroso, similmente al contratto di parcheggio di autoveicoli. Conseguentemente la disciplina applicabile è quella di cui all' art. 1766 e seguenti c.c., relativamente al deposito in generale, e non invece quella di cui all' art. 1783 e seguenti c.c., relativamente al deposito in albergo.

La Cassazione, esaminate le diverse conseguenze sulla responsabilità dell' una o dell' altra qualificazione del contratto di rimessaggio, ritiene corretta sia la qualificazione del contratto di rimessaggio come semplice deposito, sia l' affermazione della responsabilità del depositario per inadempimento dell' obbligo di custodia, sia l' esclusione del furto dall'ambito del caso fortuito; per altro verso appare assai discutibile l'assunto secondo il quale, se si fosse qualificato il contratto come campeggio e si fossero pertanto applicate le norme relative all' albergo, sarebbe stata senz'altro esclusa la responsabilità del gestore per il furto della (caravan) roulotte.

La stessa Cassazione Civile ha poi affermato che la tesi della locazione d'area non può essere accettata perché l'obbligazione principale del gestore del parcheggio, in relazione a quello che è l'interesse prevalente del proprietario dell’autoveicolo, è certamente quella di custodire lo stesso che viene lasciato nel parcheggio proprio al fine di evitare di lasciarlo in luogo pubblico, con i conseguenti rischi relativi alla mancanza di custodia. In realtà non è il titolare del parcheggio che consegna l'area al cliente (come dovrebbe essere se si trattasse di locazione), ma è il cliente che consegna il proprio autoveicolo al depositario, ricevendone in cambio un documento che lo legittima a riprenderlo. È quindi evidente la preponderanza dell'elemento dell'affidamento del veicolo con conseguente obbligo di custodia e di riconsegna secondo lo schema generale del contratto di deposito.  Secondo una sentenza della Corte di appello di Milano, invece, si ha locazione d’area con conseguente esclusione di responsabilità del gestore del parcheggio per il furto del veicolo parcheggiato soltanto nel caso in cui l’ingresso nell’area di sosta avvenga senza contatto con il personale del gestore, senza consegna delle chiavi ed il ritiro del biglietto appare funzionale soltanto al pagamento del corrispettivo della sosta, in quanto nessuno né direttamente né indirettamente si rende affidatario del mezzo (Corte Appello Milano, 30 maggio 2000).

 

CLAUSOLE DI ESCLUSIONE DELLA RESPONSABILITA’

Alcuna rilevanza deve essere data alle clausole di esclusione della responsabilità del parcheggiatore per il furto o i danni eventualmente contenute nel regolamento del parcheggio. Tali clausole, infatti, configurano un atto limitativo delle obbligazioni tipiche del contratto di deposito con la conseguenza che devono considerarsi vessatorie e perciò inefficaci se non specificamente approvate per iscritto.

Altrettanto irrilevanti sono le manifestazioni unilaterali di volontà del parcheggiatore che anche a mezzo di cartelli esposti si esoneri da ogni  responsabilità sugli autoveicoli o i beni ivi contenuti.

E’ importante, quindi, NON SOTTOSCRIVERE le clausole del regolamento che escludono tale responsabilità del gestore.

 

NECESSITA’ DI UN INTERVENTO LEGISLATIVO

Da quanto appena esposto appare chiaro che il contratto di posteggio presenta peculiarità tali da rendere necessaria, al pari del deposito di cose in albergo, una disciplina specifica che, per alcuni versi integri e per altri differenzi, la normativa di cui agli articoli 1766 e seguenti del codice civile, ed in particolare, rispetto a quest'ultima, sarebbe opportuna l'adozione di un criterio di accertamento della responsabilità, che si basi su una normale valutazione della diligenza e della colpa.

I suesposti rilievi evidenziano l'anacronismo della normativa che prescinde totalmente dalle concrete modalità di erogazione del servizio rendendo assolutamente necessario il complessivo ammodernamento legislativo del settore.

 

 

ECCO LA PRIMA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

 

 

26 febbraio 2004

Tratto da  http://www.cittadinolex.kataweb.it/Article/0,1519,28100%7C155,00.html

Al contratto atipico di parcheggio si applicano le norme sul deposito

Il custode del parcheggio risponde dei danni

(Cassazione 3863/2004)

Il custode del parcheggio è responsabile dei danni riportati dall'automobile. Lo ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, motivando la propria decisione con il principio secondo il quale il contratto di parcheggio è un contratto cosiddetto "atipico" (cioè non previsto da alcuna norma di legge), per la disciplina del quale bisogna fare riferimento alle norme del codice civile relative al deposito, che affidano il veicolo al gestore del parcheggio con l'obbligo di custodirlo e di restituirlo nello stesso stato nel quale gli è stato consegnato. (20 aprile 2004)

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n.3863/2004

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

Il giorno 11 settembre 1991 dall’area di parcheggio adiacente all’aeroporto di Malpensa, gestito dalla S.r.l Sea Parking, fu sottratta un’auto di proprietà della S.p.A. Gnutti Transfer; il veicolo era assicurato contro il furto con la S.p.A. Società Cattolica di Assicurazioni, la quale provvide al pagamento dell’indennizzo alla propria assicurata.

La Società Cattolica di Assicurazioni, surrogandosi nei diritti del proprio assicurato, con atto di citazione del 27 maggio 1994, ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano la S.r.l. Sea Parking ed ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento di oltre £ 80 milioni, che aveva corrisposto alla propria assicurata.

La Sea Parking si è costituita nel giudizio ed ha contestato la fondatezza della domanda, sostenendo: che l’attrice non aveva dimostrato di aver introdotto l’auto nel parcheggio; che non si era assunta l’obbligo di custodire il veicolo; che, quand’anche fosse configurabile un contratto di deposito, la sottrazione dell’auto non era ad essa imputabile.

La domanda è stata rigettata dal Tribunale, che ha dichiarato che in parcheggi come quello gestito dalla Sea Parking il parcheggio non è custode dell’auto.

La decisione, impugnata dalla Società Cattolica, è stata riformata dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 23 luglio 1999.

La Corte di Appello, premesso che chi immette la propria autovettura in un parcheggio intende ottenerne anche la custodia, ha dichiarato che tra l’automobilista e la Sea Parking era intervenuto un contratto che presentava i caratteri del deposito, con la conseguenza che il gestore del parcheggio aveva l’obbligo di custodire l’autovettura e rispondere del furto.

La S.r.l. Sea Parking ha proposto ricorso per cassazione ed ha depositato memoria.

La Società Cattolica di Assicurazioni coop. a r.l. ha resistito con controricorso.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente, con il primo motivo, si duole del fatto che la Corte di appello non ha dato risposta all’eccezione con la quale aveva dedotto a mancanza di prova sull’introduzione nel parcheggio dell’auto della quale era stato denunciato il furto.

Premesso che sulla Compagnia di assicurazioni incombeva l’onere di provare l’avvenuto furto e che sul punto essa aveva sollevato specifica eccezione, la Sea Parking addebita alla sentenza l’errore di assoluta mancanza di qualsiasi motivazione a riguardo: censura di omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia e violazione degli artt. 1916 e 2697 cod. civ. dell’art. 115 cod, proc. civ.

Il motivo non è fondato.

L’art. 1916 cod. civ. dispone che l’assicuratore è surrogato nei diritti dell’assicurato verso i terzi responsabili e che l’assicuratore, che abbia pagato, subentra nella posizione giuridica dell’assicurato verso il terzo responsabile del danno.

Per questa ragione, l’azione esercitata dall’assicuratore si identifica con quella che, in mancanza di pagamento, sarebbe spettata all’assicurato; in questo senso la norma è stata pacificamente interpretata nella giurisprudenza di questa Corte: sent. 2 febbraio 2001, n. 1505, tra le più recenti.

In altri termini, la società Cattolica Compagnia di Assicurazioni doveva assolvere gli stessi oneri probatori richiesti all’assicurata.

Il principio ora indicato, è esattamente richiamato.

L’esattezza del richiamo, tuttavia, non consente di configurare il vizio di omessa motivazione sull’eccezione della mancata dimostrazione dell’avvenuta introduzione nel parcheggio dell’auto della quale era stato denunciato il furto.

La disciplina del ricorso per Cassazione, improntata al principio dell’indicazione analitica dei vari motivi che possono essere denunciati, infatti, tiene ben distinto quello della violazione di legge (n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ.) da quello dell’omessa, insufficiente , o contraddittoria motivazione della decisione (n. 5 dello steso articolo).

Il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto ricorre quando si prospetta l’errata individuazione o applicazione di una norma ad un fatto sulla cui fissazione non c’è discussione.

Quello di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione è, invece, una doglianza che investe la ricostruzione della fattispecie concreta addebitando a questa ricostruzione di essere stata effettuata in una massima, la cui incongruità emerge dall’insufficiente, contraddittoria od omessa motivazione della sentenza impugnata: Cass. 18 marzo 1995, n. 3205; 10 gennaio 1995, n. 228; 9 aprile 1990, n. 2940; 14 marzo 1986, n. 1760; 18 novembre 2000, n. 14953 ed altre.

In altre parole, il controllo della Cassazione sulla motivazione si riferisce alla sola giustificazione del giudizio di fatto, perché quello sul giudizio di diritto rientra nel n. 3 del citato art. 360, il quale, quando investe la motivazione di diritto, può dare luogo alla sola correzione della decisione ai sensi dell’art. 384 dello stesso codice.

Da questi principi si ricava: che il vizio di falsa applicazione della legge si risolve in un giudizio sul fatto contemplato dalla norma di diritto applicabile al caso concreto.

La denuncia di questo vizio deve avvenire mediante la specifica indicazione dei punti della sentenza impugnata che si assumono in contrasto con l norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di questa Corte e/ o della dottrina prevalente (Cass. 11 aprile 2000, n. 8153); che quello dell’incongruità della motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante; che tra i due momenti non vi possono essere giustapposizioni.

Se ne ricava che il ricorrente non può denunciare contemporaneamente la violazione di norme di diritto ed il difetto di motivazione, attribuendo alla decisione impugnata un’errata applicazione delle norme di diritto, senza indicare la diversa prospettazione attraverso la quale si sarebbe giunti ad un giudizio sul fatto diverso da quello contemplato dalla norma di diritto applicata al caso concreto, e nemmeno il difetto di motivazione sulla ricostruzione di fatti o sui punti decisivi della controversia che avrebbero condotto ad una diversa decisione, senza indicare quali questi fossero.

In questo caso, infatti, non di errore di diritto o di omessa motivazione si deve parlare, ma di soccombenza del ricorrente su questioni di merito, che non possono formare motivo di ricorso per cassazione.

In base ai principi indicati la censura di violazione dell’art. 1916 cod. civ. non è in grado di sorreggere il difetto motivazionale della decisione sul punto criticato.

La questione della prova dell’avvenuta introduzione dell’auto nel parcheggio, a sua volta, è stata esaminata dalla Corte di appello, sia pure implicitamente attraverso il richiamo in fatto di quanto era stato accertato dal primo giudice.

La ricostruzione di questo fatto non si configura come difetto di motivazione nei termini denunciati, perché la sentenza impugnata sul punto si è diffusamente riportata a quanto accertato dal giudice di primo grado prendendo, sostanzialmente, posizione sull’eccezione proposta.

Si può aggiungere che la ricorrente, sia pure solo in via teorica, avrebbe dovuto svolgere la diversa censura di omessa risposta all’eccezione proposta, ma non il difetto di motivazione, che, come si è detto, non ricorre.

Il secondo motivo è rivolto contro il punto della decisione in cui la Corte di appello ha ritenuto che il contratto di parcheggio presentava i caratteri del deposito [1], con la conseguenza che la Sea Parking, gestore del parcheggio, era gravata dall’obbligo di custodire l’auto.

I punti essenziali della motivazione della sentenza si possono indicare nei seguenti: chi immette la propria auto in un’area di parcheggio recintata è interessato anche alla custodia del veicolo e non vuole soltanto disporre di uno spazio per lasciare l’auto; se così non fosse, non vi sarebbe differenza con chi parcheggia l’auto in una strada o area pubblica; non è vero che nella situazione di fatto indicata si instaura un rapporto che ha per oggetto la sola disponibilità dell’area di stazionamento, che il conducente avrebbe interesse ad ottenere per lasciarvi ‘auto, perché al cliente del parcheggio è indifferente il posto ove l’auto è parcheggiata; l’obbligazione principale del gestore del parcheggio è di custodire la vettura che l’automobilista immette nel parcheggio recintato, per evitare di lasciarla in luogo pubblico, con i rischi che conseguono alla mancanza di custodia; nel rapporto era preponderante l’elemento dell’affidamento del veicolo al gestore, con conseguente obbligo per costui di custodire e riconsegnare il veicolo, secondo lo schema generale del contratto di deposito.

La ricorrente, con il motivo che si sta esaminando, sostiene che nella specie era configurabile un contratto di locazione di spazio adibito a parcheggio, in relazione al quale non c’è assunzione dell’obbligo di custodia.

La Sea Parking, al riguardo, richiama precedenti di questa Corte in tema di contratto di ormeggio, per i quali è stato escluso l’obbligo della custodia, ed in tema di parcheggio disciplinato dal codice della strada, anche per i quali siffatto obbligo è escluso.

Secondo la ricorrente, l’argomento, adoperato dalla sentenza impugnata, della recinzione dello spazio non poteva condurre alla soluzione criticata, perché essa era soltanto uno strumento di riscossione della sosta a tempo; d’altra parte, l’automobilista, avendo chiuso a chiave l’auto, aveva dimostrato di non essere interessato alla custodia del veicolo.

Infine, l’oggetto del contratto era delimitato dalle annotazioni contenute nello scontrino rilasciato all’utente e nel regolamento in questo richiamato, nei quali era chiarito che il contratto era di mero godimento dello spazio di sosta: censure di violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di contratto di parcheggio, di contratto di deposito e di contratto di locazione (artt. 1766 e 1571 cod. civ.); violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi sull’onere della prova (art. 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.); violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi sull’interpretazione dei contratti; omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1780 e 1218 cod. civ. e dei principi in tema di esenzione da responsabilità contrattuale; omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La ricorrente sostiene che la Corte di appello non ha tenuto nella dovuta considerazione il sistema automatico del parcheggio a sbarre di ingresso e di uscita, il quale consentendo il prelievo dell’autovettura mediante l’utilizzazione del solo scontrino, aveva comportato che la perdita dell’autovettura non era addebitabile al titolare del parcheggio, che, quindi, era esentato da responsabilità.

Il secondo ed il terzo motivo possono essere esaminati insieme.

L’individuazione degli obblighi delle parti richiede la ricostruzione del contratto di parcheggio, sia sul piano generale, sia su quello particolare del come si è formato tra le parti.

Sotto il primo profilo , l’inquadramento del contratto di parcheggio tra quelli atipici, non può essere messo in discussione, perché, per dirla con l’art. 1322 cod. civ., svolge la funzione di emersione e tutela di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

Il problema che si pone, quindi, è quello dell’individuazione della sua disciplina, considerando che, a questo fine, le regole indicate dal codice civile sui contratti in generale non sono sufficienti a risolvere i problemi che la pratica presenta.

In questo senso questa Corte si è pronunciata già con le sentenze 12 febbraio 1952, n. 337 e 14 febbraio 1966, n. 459.

Da questa insufficienza, peraltro, è nata l’esigenza d’integrare la disciplina dei contratti atipici con tecniche non sempre riconducibili a sistema.

Il criterio d’individuazione della disciplina dei contratti atipici, tuttavia, non può essere solo quello negativo, di sottrarre il contratto atipico all’applicazione della disciplina di un determinato contratto tipico, ma deve esere volto all’individuazione della sua giusta disciplina.

Questa, d’altra parte, non sempre si ricostruisce attraverso la tecnica di ricondurre la fattispecie atipica ad un tipo contrattuale, perché, inevitabilmente, essa conduce a trascurare i modi attraverso i quali è stata realizzata la disciplina pattizia.

È questa la ragione per cui sono stati superati i tradizionali metodi dell’assorbimento del contratto atipico in quello tipico, che presenti il maggior numero di caratteri comuni, o della combinazione delle discipline dei vari contratti tipici di cui quello atipico riproduca gli elementi principali.

A questi criteri si può contrapporre la tecnica detta del modo tipologico, che è quello con il quale il fenomeno contrattuale è considerato in una visione complessiva, che mette a confronto la disciplina del tipo di contratto in questione con quella dei tipi ad esso affini, consentendo di applicare alla fattispecie concreta una disciplina che deriva da più discipline legali.

Si tratta di quei contratti, che si formano senza una preventiva contrattazione, ma attraverso la concreta utilizzazione dei servizi offerti.

In questi, per così dire, nuovi contratti il ruolo della volontà, che resta elemento costitutivo dell’accordo delle parti, si affievolisce, perché si standardizza in comportamenti automatici di accesso, di pagamento della prestazione e di prelievo del veicolo.

Il contratto che se ne ricava è del tipo di quelli nei quali all’offerta della prestazione di parcheggio corrisponde l’accettazione dell’utente, manifestata attraverso l’immissione dell’auto nell’area messa a disposizione.

Dalla combinazione di questi fattori nasce il vincolo contrattuale, il quale si realizza attraverso il contatto sociale.

Nella realtà il fenomeno è frequente e trova la sua radice nelle condizioni di affollamento delle strade, nell’urgenza dell’automobilista di liberarsi del veicolo o in altre condizioni simili.

Tutto ciò indice l’automobilista ad utilizzare strutture appositamente predisposte nelle aree adiacenti aeroporti, ospedali, supermercati e simili.

Il problema che si pone, in questi casi, e quello del se nell’offerta dell’area di parcheggio nei modi indicati sia compresa anche la custodia dell’auto, non sul piano della pura cortesia, ma su quello giuridico.

È innegabile che l’offerta, come ora è stata ricostruita, ingenera nell’automobilista l’affidamento che in essa sia compresa anche la custodia dell’autovettura.

Dunque, oggetto del contratto di parcheggio, che si è formato attraverso mezzi meccanici, è la messa a disposizione di uno spazio ed essa si combina con la custodia, allo stesso modo in cui avviene nel contratto di deposito, nel quale l’obbligo della custodia è elemento essenziale (art. 1766 cod. civ.), come questa Corte ha già dichiarato (sent. 23 agosto 1990, n. 8615), affermando che il contratto di parcheggio delle autovetture è contratto atipico per la cui disciplina occorre fare riferimento alle norme relative al deposito e che pertanto comporta l’affidamento del veicolo al gestore del parcheggio con l’obbligo di custodirlo e restituirlo nello stato in cui gli è stato consegnato.

Le conferme di quest’impostazione stanno, sia nel fatto che nella vita sociale la funzione pratica del contratto di posteggio è di liberare l’automobilista da ogni preoccupazione relativa alla custodia del veicolo, sia in quello che la detenzione del veicolo, conseguita dal titolare dell’area di parcheggio, aderisce allo schema del contratto di deposito, nella parte in cui l’art. 1766 cod. civ. pone la custodia a carico del depositario.

Si deve pure aggiungere che il significato oggettivo di questo comportamento prevale su eventuali condizioni generale di contratto predisposte dall’impresa di parcheggio, che escludano un obbligo di custodia.

Il conducente, infatti, giunto in prossimità dell’area di parcheggio, assai difficilmente è in condizioni di rendersi conto di quelle condizioni.

Se, poi, esse fossero richiamate nello scontrino o nella scheda rilasciati dagli apparecchi automatici, è egualmente legittimo ritenere che quella conoscenza sfugga all’attenzione dell’utente, considerato il modo rapidissimo con il quale il contratto è realizzato.

La ricostruzione degli obblighi delle parti nel contratto intercorso tra la Sea Parking e la proprietaria dell’auto trafugata è correttamente compiuta nella sentenza impugnata, la quale, sostanzialmente, si è attenuta ai principi prima esposti.

In primo luogo, è pacifico che, nella fattispecie, l’automobilista ha introdotto la sua autovettura in uno spazio recintato mediante pagamento effettuato attraverso un dispositivo di controllo di una scheda magnetica rilasciata in maniera altrettanto automatica.

L’automobilista, in questo modo, ha aderito all’offerta di parcheggio, al quale si accompagnava la prestazione, non secondaria, della custodia del suo autoveicolo.

Il richiamo della ricorrente alle decisioni di questa Corte che, nella situazione data, condurrebbe ad accostare la disciplina del parcheggio a quella della locazione non è corretto.

La sentenza 21 ottobre 1994, n. 8567, che conterebbe questo accostamento, infatti, ha escluso l’obbligo della custodia nel contratto di ormeggio, me è evidente la differenza tra parcheggio di un’autovettura ed ormeggio di un’imbarcazione.

Si può aggiungere che contratto di parcheggio e contratto di locazione differiscono, sostanzialmente, sul piano della causa.

La causa del secondo, infatti, è incompatibile con la custodia, perché con quel contratto il bene è dato in godimento continuato del locatario; ciò non ricorre nel contratto di parcheggio.

Il fatto, poi, che nel codice della strada sia previsto il parcheggio anche senza custodia è argomento che non prova nulla, sia perché non da luogo ad un contratto atipico rientrante nella categoria che si sa esaminando, sia perché il parcheggio sulla pubblica strada risponde a finalità di disciplina generale dell’occupazione di suoli pubblici, la quale, a sua volta, giustifica la deroga ai principi generali sulla responsabilità dell’ente pubblico proprietario della strada.

Quello della rinuncia alla custodia da parte dell’automobilista, ricavato dall’avvenuta chiusura a chiave del veicolo, è un argomento che non prova nulla, perché la chiusura a chiave dell’auto nel parcheggio è elemento aggiuntivo, ma non escludente l’obbligo di custodia.

Se si può convenire con la ricorrente sul fatto che la recinzione dello spazio ove l’auto era parcheggiata era finalizzato alla riscossione del prezzo della sosta a tempo, nondimeno si deve considerare che essa era strutturata in modo da ingenerare nell’automobilista quel ragionevole affidamento, di cui si è parlato, che nella sosta fosse compresa anche la custodia del veicolo; di modo che l’elemento considerato diventa ambivalente ai fini che interessano.

Egualmente irrilevante è l’argomento delle annotazioni riportate sulla tessera magnetica, che escludevano la prestazione della custodia.

Ciò per le ragioni già esposte a proposito della ricostruzione in generale del contratto di parcheggio.

In conclusione, l’accostamento del contratto di parcheggio a quello di deposito, compiuto dalla sentenza impugnata, è corretto ai fini della configurazione della responsabilità della ricorrente.

Infine, alcun rilievo deve essere dato all’argomento della non imputabilità alla ricorrente dell’avvenuto furto.

Stabilita, infatti, che la custodia è elemento del contratto di parcheggio meccanizzato, si ricava che l’imputabilità del furto è connaturata all’inadempimento dell’obbligo di diligenza indicato dall’art. 1768, primo comma, cod. civ.

Quest’obbligo, infatti, deve essere determinato secondo la natura dell’oggetto da custodire e lo scopo cui la custodia deve rispondere.

Vale a dire che la diligenza si deve misurare secondo la natura dell’oggetto e che nella custodia di autovetture affidata ad una semplice sbarra di chiusura non risponde ai criteri di diligenza ora indicati.

Con il quarto motivo, la ricorrente si duole del mancato accertamento del valore dell’auto rubata, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1916 e 2697 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ.; omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

La Corte di appello ha determinato il danno nell’importo di £ 80 milioni, considerando che si trattava di debito di valore, indipendentemente dall’avvenuto pagamento dell’indennizzo assicurativo.

La Sea Parking, premesso di nuovo che il danno risarcibile all’assicuratore, che agisce in surroga, non può eccedere il valore della vettura rubata al tempo del furto, sostiene che la Corte di appello ha ignorato il rilievo, limitandosi a riconoscere il danno nei limiti di quanto la Compagnia di assicurazioni aveva liquidato, senza motivazione sul punto.

La Corte di appello non ha liquidato il debito sulla base dell’indennizzo corrisposto dall’assicuratore, ma ha accertato il valore dell’autovettura, come si ricava dalla dichiarata indifferenza su questo valore della qualificazione dei rapporti tra assicuratore ed assicurato.

La valutazione compiuta non è ripetibile in questa sede.

Rigettato il ricorso, le spese di questo giudizio possono essere interamente compensate tra le parti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2004.

[1] L'art.1766 del codice civile definisce il deposito "il contratto col quale una parte riceve dall'altra una cosa mobile con l'obbligo di custodirla e di restituirla in natura".